2 aprile: Giornata mondiale per la consapevolezza sull’autismo
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Il 2 aprile di ogni anno ricorre la Giornata Mondiale per la Consapevolezza sull'Autismo, istituita sin dal 2007 dalle Nazioni Unite per sensibilizzare le persone alla necessità di collaborare nella ricerca, nel trattamento e soprattutto all'accettazione generale di una realtà ancora tanto sconosciuta.
Perché non l'ho scritto il 2 aprile al primo mattino? Perché realmente volevo mettere in ordine i pensieri, soprattutto quando si tratta di argomenti così delicati.
In effetti, dovremmo focalizzare l'attenzione non tanto sulla “malattia” (termine troppo generalista, ma di fatto tale condizione è ancora vista come pura patologia), ma sulla persona... e ancora siamo troppo distanti da una reale inclusività di tutte quelle condizioni che caratterizzano alcune persone.
Partiamo da un presupposto: la disabilità fa paura! Non giriamoci attorno, lo possiamo constatare tutti i giorni, semplicemente guardando tutto ciò che ci circonda.
Sia chiara un'altra cosa: a me, il termine “disabilità” non piace; però il way-of-living quotidiano crea troppe condizioni che impediscono il superamento dei limiti della disabilità. Certo, il linguaggio inclusivo ha deprecato il termine “disabilità”... NO! NON È VERO! Non l'ha deprecato affatto, lo fa solo negli usi pubblici: testi sulla stampa, forse qualche post sui social, discorsi di personaggi di spicco... ma nella realtà, ancora non ci siamo.
Come si chiama quel tesserino che è rappresentato nell'immagine che intesta questo blocco? Contrassegno per disabili, o anche pass per disabili. Che serve a? Poter utilizzare i parcheggi per disabili.
Ecco, sono alcuni esempi che fanno capire quanto sia ipocrita puntare il dito contro qualcuno che usa il termine “disabile”, e poi, nel linguaggio comune, ancora si parla di “disabilità”.
Fra l'altro, c'è di peggio...
Qual è la voce del cedolino paga relativa ai permessi della Legge 104? Questa che vedete! “Perm. mens. figli hand. c/INPS”, che presumo sia l'abbreviazione di “Permessi mensili per figli handicappati in conto INPS”, a meno che “hand.” non sia in inglese, ma non capisco cosa ci stia a fare una mano in questa frase.
Ecco perché dico che siamo troppo lontani dal reale concetto di inclusione!
A me piacerebbe usare il termine “diversabilità”, più che “disabilità”, per sottolineare che ogni persona è diversa dalle altre. Credo però che l'Accademia della Crusca non lo accetti ancora.
Se dunque il nostro linguaggio non è ancora pronto per l'inclusione, come possiamo pensare di essere inclusivi nei fatti? E “in-fatti” non lo siamo (mai una congiunzione fu più appropriata!), ma chissà quando ci arriveremo.
All'inizio ho detto che la disabilità fa paura, a me fa più paura l'ignoranza (nel senso puro del termine): non sapere, non conoscere, non capire, sono tutte condizioni che limitano la reale inclusione delle persone (senza alcun aggettivo seguente).
Capire l'autismo è cosa assai difficile, capire le persone autistiche lo è ancor di più, come se fosse facile capire “le persone”. La consapevolezza è anche questo: sapere di non capire. Se tutti facessimo un lavoro su noi stessi, ponendoci come obiettivo la reale accettazione di una caratteristica piuttosto che di una diversità, è probabile che il nostro mondo possa sperare di essere migliore.
Dovremo, e stavolta uso volutamente un futuro, cercare di accettare più consapevolmente le caratteristiche delle persone (che esse siano autistiche o meno), senza pregiudizi, senza limitazioni...
Ma da dove possiamo iniziare? I suggerimenti si sprecherebbero! Cominciamo dai bambini...
Avere un insegnante di sostegno sin dal primo giorno di scuola, avere una risposta in tempi ragionevoli da una Pubblica Amministrazione, avere un parcheggio dedicato senza dover aspettare tre anni (cosa realmente accaduta, fra l'altro da dividere con un'altra persona diversabile) ed averlo vicino all'abitazione, senza dover percorrere centinaia di passi prima di arrivare a casa, avere la disponibilità di tempo delle persone coinvolte nella formazione, avere la disponibilità di specialisti veramente formati, avere un supporto delle istituzioni per la normalizzazione delle attività dei bambini...
Sono sogni impossibili?
Non dovrebbero esserlo, ma così non è!